Che significa creare valore? Le domande che un’azienda produttiva DEVE farsi
Nell’ambito della produzione industriale, il concetto di valore assume un ruolo trainante nel definire le strategie di un’azienda. Peccato, però, che questo concetto si configuri spesso come nebuloso, poco chiaro e, talvolta, viene utilizzato in modo confusionario o persino improprio.
Ecco allora che si creano i presupposti per creare una rubrica ad hoc volta a chiarire in modo lineare e coerente che cosa si intende quando si parla di creare valore in ambito produttivo, ragionando sui processi e sull’organizzazione del lavoro nel suo complesso: dunque, che significa creare valore all’interno di un processo produttivo e come si fa?
Il concetto di valore per le aziende
In senso strettamente tecnico, una società, un’azienda o un professionista crea valore quando genera ricchezza o utilità.
Già in questa prima frase emergono altri due concetti focali e che esprimono significati differenti: ricchezza e utilità. Andiamo ad approfondire.
Che cos’è la ricchezza? Semplificando al massimo, possiamo affermare che un’azienda crea valore se il profitto generato dalla propria attività è superiore ai costi sostenuti per ottenerlo. Questa è una visione del concetto di creazione di valore basata su una prospettiva economico-finanziaria.
Che cos’è l’utilità? Qui entriamo invece nell’ambito dei processi interni dell’azienda. Secondo questo approccio, l’azienda crea valore – attraverso l’utilità – se è in grado di migliorare il proprio sistema produttivo, ad esempio abbassando i costi di produzione, riducendo gli sprechi, abbattendo i tempi di produzione o aumentando il valore del prodotto a parità delle altre condizioni.
Secondo la seconda prospettiva descritta – generare utilità – una società crea valore in diversi modi. Ognuno di essi, però, passa attraverso un processo di miglioramento continuo, inteso come il passaggio continuo da una configurazione standard di partenza ad un’altra, migliore di quella iniziale.
Lo standard è un valore
Una definizione di standard semplice ed efficace è: “il miglior metodo conosciuto e condiviso oggi per eseguire un’attività”. Il concetto di standard, in effetti, si contrappone a quello di variabilità del processo produttivo, che invece possiamo definire come “l’attitudine di un fenomeno o di un processo ad assumere differenti valori” oppure come l’effetto aggregato di tutte le componenti casuali e/o non controllate del processo produttivo. La variabilità è ciò che i giapponesi chiamano Mura.
Ovviamente, la variabilità non può essere annullata del tutto poiché esistono elementi di variabilità ‘naturale’, intrinsecamente legati alle tecnologie, all’organizzazione e ai processi aziendali; cionondimeno, è compito di un’azienda che opera secondo i principi kaizen – e che dunque insegue l’obiettivo del miglioramento continuo – operare al fine di ridurre al minimo il livello di casualità del processo.
Giungendo a una prima conclusione, un’azienda crea valore se è in grado di ridurre la variabilità di un processo e fare in modo che funzioni il più possibile secondo lo standard definito.
Cosa NON crea valore: gli sprechi
Un altro nemico del processo di creazione di valore sono gli sprechi. Una delle definizioni di spreco è: “tutto ciò che avviene all’interno di un processo che interrompe il flusso di valore per il cliente finale” (secondo la visione di Taiichi Ohno, considerato il teorico della Lean Production).
Dobbiamo dunque chiederci che cosa è ‘spreco’ in ambito aziendale e cosa è valore secondo il cliente. Procediamo con calma.
Secondo il modello Lean, esistono 7 tipi di sprechi (muda in giapponese): alcuni di essi sono facilmente riconoscibili, come ad esempio un pezzo difettoso o una macchina guasta – altri sono meno evidenti, ma altrettanto dannosi per il processo di miglioramento continuo. In particolare, alcuni tipi di sprechi non sono neppure considerati tali da chi amministra la catena produttiva, poiché è la stessa cultura aziendale a non riconoscerli come dannosi – un esempio tipico è quello della sovrapproduzione, spesso erroneamente considerata un valore aggiunto, ma in realtà fonte di spreco (ne parleremo in una delle prossime guide).
Gli sprechi, nel concreto, pesano sul processo produttivo in quanto assorbono risorse e non creano valore per il cliente finale.
Il valore per l’utente finale
Resta ancora un’ultima questione da affrontare: che cos’è il valore per il cliente finale?
Possiamo definirlo come la percezione del valore che il cliente ha di un prodotto/servizio rispetto alle alternative offerte dal mercato. Un’altra definizione, più pragmatica, è quella secondo cui il valore è tutto ciò per cui il cliente è disposto a pagare. Stando alla seconda definizione, dunque, tutto ciò per cui un cliente NON è disposto a pagare deve essere considerato uno spreco.
Ecco allora che il cerchio si chiude. Citiamo ancora Taiichi Ohno; fu l’ingegnere della Toyota a proporre questo spunto di riflessione: egli, osservando da vicino i processi del proprio stabilimento, si domandava: “Quello che sto vedendo adesso crea valore per il cliente finale?” Se la risposta che diamo a questa domanda è affermativa, vuol dire che siamo di fronte a qualcosa che crea valore; in caso contrario, abbiamo a che fare con uno spreco.
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