Metodo 5S: come standardizzare la produzione aziendale
Sul nostro blog, abbiamo parlato spessissimo del concetto di standard. Nell’articolo “Kaizen: guida al miglioramento continuo dei processi” ci siamo focalizzati sulla spiegazione di cosa sia uno standard; nella guida “Che significa creare valore? Le domande che un’azienda produttiva DEVE farsi” ci siamo focalizzati sul chiarire perché lo standard debba essere considerato un valore per il sistema produttivo, mentre abbiamo approfondito il discorso sul rapporto tra Lean Production e definizione dello standard nel contributo “La Lean è un mezzo, non un fine: un errore da evitare, ecco perché”.
Ora manca ancora un ultimo, fondamentale passaggio relativo a questo tema: come si definisce uno standard. Ecco perché occorre parlare del Metodo 5S, ovvero l’approccio che permette di costruire una configurazione standard del sistema produttivo, attività che deve essere intesa come il punto di partenza per l’implementazione di una strategia di miglioramento continuo.
L’importanza delle 5S
“Dove non c’è standard non ci può essere miglioramento.”
Questa frase, da noi già citata e pronunciata da Taiichi Ōhno, il teorico del modello Lean, riassume perfettamente quanto sia importante, per un sistema produttivo, dotarsi di uno standard. Lo stesso Ōhno ricorda che per standard debba intendersi “il miglior metodo ad oggi conosciuto e condiviso per produrre”.
Andiamo ora a fondo alla questione e chiediamoci come funziona il Metodo 5S: si tratta di uno strumento che possiamo considerare di massima importanza – o persino il più importante – tra quelli utilizzati in ambito Lean Production, sebbene possa apparire semplice (ed è proprio questo uno dei suoi punti di forza). Attraverso il Metodo 5S, infatti, viene definita la base, il contesto operativo, lo standard verso cui tendere e su cui costruire tutti i successivi step del miglioramento continuo.
Nel concreto, il Metodo 5S si struttura in 5 fasi, che in giapponese vengono distinte da una parola specifica, ognuna delle quali inizia con la lettera S – da cui il nome del metodo:
- Seiri (separare)
- Seiton (ordinare)
- Seiso (pulire)
- Seiketsu (standardizzare)
- Shitsuke (rispettare)
Seiri (separare)
La prima fase del percorso 5S – SEIRI – è, semplicemente, quella in cui si separa ciò che serve da ciò che non serve. Prima di ciò, deve essere stabilita l’area di intervento, sia essa una singola postazione di lavoro o interi reparti.
Per poter gestire in modo netto la distinzione tra ciò che è utile e ciò che non lo è, devono dunque essere fissati dei criteri di valutazione, da stabilire secondo quello che è il principio guida del metodo Kaizen: ridurre gli sprechi.
Contestualmente, al fine di rendere le modifiche permanenti, e per non rischiare un ripristino delle cattive abitudini, è bene identificare le cause che hanno portato alla generazione dello spreco e attuare delle contromisure.
Nella gestione delle attività di separazione di ciò che serve al sistema produttivo da ciò che è inutile, uno strumento ampiamente utilizzato è quello del cartellino. Nel concreto, il cartellino – solitamente di un colore vistoso come il rosso – viene fissato sugli oggetti (materiali, attrezzature, ecc.) ritenuti inutili.
SEITON (ordinare)
“Un posto per ogni cosa ed ogni cosa al suo posto.” Questa è la linea guida che orienta il secondo step del Metodo 5S, il SEITON, ovvero quello in cui le risorse ritenute utili devono essere ordinate, collocate appropriatamente e in modo che siano facilmente reperibili da chi ne ha bisogno.
Il criterio principale è quello della frequenza d’uso: gli strumenti utilizzati più spesso saranno collocati nelle aree più vicine all’operatore, disponendo poi le altre in maniera progressiva secondo la stessa logica; così facendo, è possibile abbattere i tempi di ricerca, eliminando dunque un altro spreco.
SEISO (Pulire)
La fase del SEISO è quella della pulizia di attrezzature e macchinari. Questa attività si pone il duplice obiettivo di mantenere nel tempo le condizioni operative ottimali dell’attrezzatura da lavoro attraverso una costante azione di manutenzione e, dove le condizioni non rispettino gli standard di pulizia previsti, intervenire per ripristinare tali condizioni. Questa fase permette di eliminare un altro tipo di spreco, cioè quello generato da attese e perdite di processo (imposte da macchinari che non sono pronti a lavorare quando occorre).
Per poter attivare e gestire questo tipo di controllo, è necessario fissare le condizioni operative di macchinari e attrezzature e stilare un protocollo di controllo utile a direzionare le attività di ispezionamento attuate da operatori e addetti alla manutenzione.
SEIKETSU (standardizzare)
Le tre fasi che abbiamo descritto finora verrebbero vanificate nel giro di poco tempo, senza un’efficiente standardizzazione del sistema. Questo obiettivo viene programmato e gestito attraverso il quarto tassello del metodo 5S, ovvero il SEIKETSU.
La vera rivoluzione del 5S non sta nella configurazione di uno standard, ma nella semplicità di comprensione dello stesso da parte degli operatori e, dunque, dal sistema di comunicazione implementato per renderlo comprensibile a tutti. In particolare, il metodo 5S stimola tutte le parti in causa nel processo di standardizzazione a utilizzare segnali visivi di facile decodificazione. In questo caso, sarebbe complicato stilare un elenco completo degli input visivi, anche perché molto dipende dalle scelte poste in essere all’interno del singolo stabilimento produttivo; facciamo un esempio: uno spazio vuoto delimitato da un nastro adesivo può indicare che in quell’area sussiste un’anomalia.
Dunque, nel sistema 5S anche il protocollo di comunicazione deve essere standardizzato, condiviso e fare ampio uso di immagini, a discapito delle comunicazioni testuali, meno immediate e maggiormente soggette a errori interpretativi.
SHITSUKE (rispettare)
L’ultimo step, fondamentale, è quello che consente di rispettare e mantenere gli standard mediante una costante e scientifica attività di monitoraggio, da condurre mediante degli audit. Questo punto è definito in giapponese SHITSUKE, appunto “rispettare”.
Gli strumenti utilizzati per il monitoraggio degli audit sono tipicamente delle check list, che prevedono la compilazione, per tutte le S, di una serie di domande, volte a calcolare il livello di esecuzione delle fasi, assegnando a esse un punteggio. In caso di valutazione non conforme agli standard prefissati, l’audit si conclude con la definizione di azioni correttive, volte a ripristinare la situazione standard definita.
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